Obbligo di fruizione ferie entro dicembre 2016

Obbligo di fruizione ferie entro dicembre 2016

Il mese di dicembre coincide con un importante obbligo in capo ai datori di lavoro, legato alle ferie da far fruire ai propri dipendenti nel corso di ciascun anno di calendario. In particolare, entro il 31 dicembre 2016 i datori dovranno assicurarsi che, se non ancora godute, i propri dipendenti abbiano fruito di almeno due delle quattro settimane di legge maturate nel 2016.

Ai sensi dell’ art. 10 del D.Lgs. 66/2003, infatti, ciascun prestatore di lavoro ha diritto ad un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a quattro settimane, da fruire con le seguenti modalità:

  • per almeno due settimane, consecutive qualora il prestatore ne faccia richiesta, nel corso dell’anno stesso di maturazione
  • per le restanti due settimane, nei 18 mesi successivi al termine dell’anno di maturazione (es. entro il 30 giugno 2018, se riferite al 2016).

Tale periodo minimo di quattro settimane, lo si ricorda, non può essere sostituito dalla relativa indennità per ferie non godute (cioè non può essere monetizzato!), salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro.

Di norma i singoli contratti collettivi di lavoro (C.C.N.L.) stabiliscono un montante ferie annuale superiore rispetto al predetto periodo minimo di legge. A differenza delle quattro settimane cd. “irrinunciabili”, le eventuali ferie eccedenti previste contrattualmente potranno essere fruite in un secondo momento ovvero, in alternativa, monetizzate.

Ai sensi dell’art. 18-bis del D.Lgs. 66/2003, la mancata concessione da parte del datore delle ferie spettanti entro i termini perentori di legge è sanzionata mediante una sanzione amministrativa base da 100 a 600 euro, che aumenta qualora la violazione riguardi almeno 6 lavoratori o in caso di recidiva (reiterazione per almeno due anni):

  • sanzione pecuniaria base da 100 a 600 euro, se coinvolti non più di 5 dipendenti
  • sanzione da 400 a 1.500 euro, se coinvolti più di 5 lavoratori ovvero si è verificata in almeno due anni
  • sanzione da 800 a 4.500 euro, se coinvolti più di 10 lavoratori ovvero si è verificata in almeno quattro anni.
Lavoratori disabili e obbligo di assunzione: come cambiano le sanzioni dopo il correttivo al Jobs Act

Lavoratori disabili e obbligo di assunzione: come cambiano le sanzioni dopo il correttivo al Jobs Act

Dall’8 ottobre 2016 sono entrate in vigore le nuove sanzioni per mancata assunzione di lavoratori disabili.

Con il d.lgs. 185/2016, correttivo al Jobs Act, sono state introdotte delle novità in materia di collocamento obbligatorio dei lavoratori disabili.

La principale riguarda l’apparato sanzionatorio previsto per i datori di lavoro che non rispettino la cd. “quota di riserva”, ovvero l’obbligo di assunzione di lavoratori portatori di handicap in una determinata percentuale prevista dalla legge (L. 68/1999).

In particolare, dalla data di entrata in vigore del decreto (8 ottobre 2016) il datore di lavoro che, pur essendone obbligato, non ottemperi al predetto obbligo di avviamento al lavoro di lavoratori disabili o “soggetti equiparati” (orfani e vedove dei caduti per lavoro), deve pagare una sanzione amministrativa pari a 153,20 euro al giorno per ciascun lavoratore disabile che risulta non occupato nella medesima giornata.

La sanzione è stata quindi più che raddoppiata, passando da 62,77 euro a 153,20 euro per ogni giorno di “scopertura”.

Si ricorda che l’obbligo in questione riguarda tutti i datori di lavoro che occupano almeno 15 dipendenti ed il numero dei disabili da inserire in organico cresce per le aziende di dimensioni maggiori nella seguente misura:

 

Dipendenti computabili

Quota disabili

da 15 a 35

1

da 36 a 50

2

oltre 50

7% dei lavoratori occupati

 

Dal momento in cui insorge l’obbligo (es. viene assunto il 15° dipendente; si dimette un dipendente disabile; etc.) il datore di lavoro ha 60 giorni di tempo per mettersi in regola.

Occorre tuttavia fare una precisazione riguardo le aziende con organico pari a 15, per le quali fino alla fine dell’anno continuerà ad applicarsi il cd. “regime di gradualità”. In pratica fino al 31 dicembre 2016 le imprese con 15 dipendenti dovranno attivarsi solo in caso di una nuova assunzione, cioè la 16.ma, ed in questo caso avranno comunque 12 mesi di tempo a disposizione per mettersi in regola.  Da gennaio 2017, invece, anche per le imprese dimensionate sui 15 dipendenti scatterà l’obbligo di assunzione entro 60 giorni.

Per non infierire troppo sulle imprese “inosservanti”, visto l’inasprimento delle sanzioni pecuniarie, il Decreto ha introdotto la procedura di diffida (art. 13 del D.Lgs. 124/2004) mediante la quale il datore di lavoro ha la possibilità di regolarizzare la posizione della propria impresa versando un importo pari a 1/4 della sanzione massima prevista. Le condizioni per poter accedere alla diffida sono, alternativamente

  1. presentazione agli uffici competenti della richiesta di assunzione
  2. stipula del contratto di lavoro con il disabile già avviato

Ultima novità da segnalare riguarda la computabilità ai fini della quota di riserva dei lavoratori già disabili prima della costituzione del rapporto di lavoro, che ora possono essere inclusi, riducendo così il numero di assunzioni obbligatorie, nel caso in cui abbiano una riduzione della capacità lavorativa “pari o superiore al 60%”.

 

Registrazione delle trasferte sul LUL: quando è “infedele”

Registrazione delle trasferte sul LUL: quando è “infedele”

Nella registrazione delle trasferte l’errore è sanzionabile se incide sull’imponibile retributivo.

Il Ministero del Lavoro fornisce chiarimenti sul regime sanzionatorio applicabile in caso di omessa o infedele registrazione delle trasferte sul libro unico.

In particolare, la registrazione è considerata infedele (e sanzionabile) se determina omissioni di carattere retributivo, fiscale o previdenziale. Non rilevano pertanto gli errori meramente formali, cioè quelli che non hanno incidenza sull’imponibile retributivo.

Con nota n. 11885 del 14 giugno 2016 il Ministero del Lavoro ha ribadito come semplici irregolarità, che non incidano sull’ammontare della retribuzione (es. gli errori riguardanti la numerazione unica o quella sequenziale), non siano sanzionabili. Aziende e addetti alle paghe possono quindi tirare un sospiro di sollievo.

Al contrario la Direzione di via Flavia ha precisato che la registrazione delle trasferte si considera infedele in tutti i casi in cui la prestazione lavorativa resa o il corrispettivo erogato non coincidano con quanto riportato sul LUL.

Obiettivo del Legislatore è quello di evitare condotte del datore volte a celare compensi, imposte e contributi effettivamente dovuti. Si pensi alle somme giustificate come indennità per trasferte mai effettuate e in realtà spettanti ad altro titolo.

Le sanzioni pecuniarie previste in caso di registrazione delle trasferte volutamente irregolare o omessa sono le seguenti:

  • da 150 a 1.500 euro (base);
  • da 500 a 3.000 euro (se la violazione coinvolge più di 5 dipendenti o si protrae per oltre 6 mesi);
  • da 1.000 a 6.000 euro (se la violazione coinvolge più di 10 dipendenti o si protrae per oltre 12 mesi).

È utile ricordare il regime fiscale delle somme erogate dal datore in caso di trasferta del lavoratore.

A norma dell’art. 51, comma 5, del TUIR, il trattamento fiscale cambia in base alla metodologia adottata per il rimborso.

In particolare, per trasferte al di fuori del comune in cui è ubicata la sede del lavoro, potremo avere:

  1. Rimborso ANALITICO: totale deducibilità delle spese documentate per vitto, alloggio, viaggio e trasporto. Eventuali rimborsi di altre spese sostenute dal dipendente, anche non documentate, sono deducibili fino a max. 15,49 € giornalieri (25,82 per trasferte all’estero);
  2. Rimborso FORFETTARIO: la diaria sostitutiva del rimborso è esente fino a 46,48 € al giorno per trasferte in Italia e a 77,47 € al giorno per trasferte all’estero;
  1. Rimborso MISTO: i predetti limiti sono ridotti di un terzo se vi è il rimborso del solo vitto o alloggio; di due terzi se sono rimborsati sia il vitto sia l’alloggio.

Al contrario, le somme ricevute per trasferte nel comune in cui è ubicata la sede di lavoro concorrono interamente a formare il reddito.

Si rimanda alla già citata nota n. 11885 del 14 giugno 2016 per maggiori dettagli.

Amministratore e socio lavoratore? La contribuzione è doppia

Amministratore e socio lavoratore? La contribuzione è doppia

La Corte di Cassazione ribadisce il principio della doppia imposizione contributiva per un amministratore che collabora abitualmente nella Srl come socio lavoratore.

Chi svolge contemporaneamente attività di amministratore e socio lavoratore in azienda deve iscriversi sia alla Gestione separata INPS (per l’attività di amministratore), sia alla Gestione commercianti INPS (come socio lavoratore).

A dirimere l’annosa questione del corretto inquadramento previdenziale dell’ amministratore e socio lavoratore è intervenuta la Corte di Cassazione con la sentenza n.17365 del 26 agosto 2016.

Come è noto, l’iscrizione alla Gestione Inps degli esercenti attività commerciali riguarda tutti i soggetti in possesso dei seguenti requisiti:

  1. siano titolari di impresa commerciale, con o senza dipendenti, organizzata prevalentemente con lavoro proprio e dei componenti la famiglia;
  2. abbiano la piena responsabilità dell’impresa ed assumano oneri e rischi di gestione (requisito non richiesto per soci di Srl);
  3. partecipino personalmente al lavoro aziendale in modo abituale e prevalente;
  4. siano in possesso delle necessarie licenze o autorizzazioni per l’esercizio dell’attività commerciale, se previste da legge o regolamenti.

La Suprema Corte, accogliendo un ricorso avanzato dall’Inps, ha puntualizzato come la questione debba essere letta alla luce del D.L. n. 78/2010, che fornisce un’interpretazione autentica del criterio cd. della “prevalenza”. In base alla predetta norma la “prevalenza” riguarda esclusivamente le attività che vengono esercitate in forma d’impresa da

  • commercianti;
  • artigiani;
  • coltivatori diretti.

Restano quindi escluse le attività che prevedono l’iscrizione alla Gestione separata INPS (ex art. 2, comma 26, legge 335/1995).

Pertanto, qualora il socio di Srl svolga contemporaneamente le due attività, ognuna di esse seguirà necessariamente il suo regime previdenziale.

 

By: Studio Ciuccoli

Esonero contributivo biennale in scadenza il 31/12/2016

Esonero contributivo biennale in scadenza il 31/12/2016

Il 31 dicembre prossimo scade il termine per richiedere l’ esonero contributivo biennale per nuove assunzioni. Come previsto, gli ultimi mesi dell’anno fanno registrare un aumento delle assunzioni a tempo indeterminato.

Il provvedimento dell’ esonero contributivo, dopo la sua prima introduzione lo scorso anno, si riconferma tra le misure di maggiore interesse per le aziende.

Riassumiamo di seguito le condizioni per ottenere l’ esonero contributivo riportate in dettaglio nella Circolare INPS n. 57 del 29 marzo 2016.

Campo di applicazione

L’agevolazione riguarda le nuove assunzioni o trasformazioni a tempo indeterminato, anche in regime di part-time, effettuate entro il 2016. Sono esclusi rapporti di lavoro domestico e contratti di apprendistato.

Condizioni principali

Per le aziende richiedenti: status di datori di lavoro privati.

Per i lavoratori da assumere / trasformare:

  • assenza di rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato nei sei mesi precedenti l’assunzione;
  • assenza di rapporti a tempo indeterminato con lo stesso datore nei tre mesi precedenti l’entrata in vigore del provvedimento (1/1/2016).

Misura e durata dell’incentivo

La misura dell’ esonero è pari al 40% dei contributi a carico dell’azienda, nel limite massimo di 3.250 euro annui. Sono esclusi dall’esonero i premi e contributi INAIL.

La durata massima è pari a 24 mesi.

Restano invariate rispetto allo scorso anno le modalità di richiesta all’ INPS del codice di autorizzazione.

 

Per maggiori dettagli e casi particolari si rimanda alla già citata Circolare n. 57 del 29 marzo 2016.

By: Studio Ciuccoli

Per la Cassazione il patto di prova valido solo in forma scritta

Per la Cassazione il patto di prova valido solo in forma scritta

Con sentenza n. 16214/2016, depositata mercoledì 3 agosto, la Corte di Cassazione ha affermato che il patto di prova deve risultare da atto scritto, con la conseguenza della invalidità del licenziamento intimato alla scadenza e non può essere prorogato in costanza di rapporto in quanto la durata deve essere definita nella lettera di assunzione, pur se la proroga fosse stata sottoscritta dal dipendente.

Il patto di prova è un elemento accidentale del contratto e non può produrre effetto se non è chiaramente espresso dalle parti nel contratto. Un accordo di proroga firmato in un momento successivo è, quindi, fuori dal contratto iniziale. In alcuni casi, infatti, il Ccnl esclude espressamente o prevede, nei limiti del tetto massimo stabilito dalla legge, la possibilità di prorogare la durata inizialmente fissata del periodo di prova. In mancanza di tale previsione non è possibile pattuire la proroga nel contratto individuale, perché ciò costituirebbe clausola svantaggiosa per il lavoratore.

Il patto di prova può risultare nullo se non specifica le mansioni che deve svolgere il lavoratore con conseguente conversione in via definitiva dell’assunzione sin dal suo inizio. Ricordiamo che la legge fissa la durata massima del periodo di prova in 6 mesi per i lavoratori, e 3 mesi per gli impiegati non aventi funzioni direttive.

Fonte: www.generazionevincente.it

Vuoi assumere un lavoratore americano specializzato?

Vuoi assumere un lavoratore americano specializzato?

Per assumere un lavoratore americano specializzato, i requisiti previsti dalla normativa per bypassare i flussi annuali, e quindi le caratteristiche che gli stranieri devono avere per essere considerati altamente qualificati (Carta blu Ue – art. 27 quater) sono:

  • un titolo di istruzione superiore rilasciato dall’autorità competente nel Paese dove è stato conseguito, che attesti il completamento di un programma di istruzione superiore post-secondaria di durata almeno triennale (la documentazione deve essere tradotta e legalizzata dalla rappresentanza consolare italiana nel paese di residenza dello straniero). Oltre a tale requisito è necessario anche il possesso di una qualifica professionale superiore rientrare nei “livelli 1 e 2 e 3 della classificazione ISTAT delle professioni CP 2011”.
  • limitatamente all’esercizio delle professioni regolamentate, dei requisiti previsti dal D.L.vo 206/2007.

Ulteriore condizione prevista per tali ingressi è che i lavoratori stranieri siano assunti per l’esercizio di prestazioni lavorative da svolgersi per conto o sotto la direzione o il coordinamento di un’altra persona fisica o giuridica.

Contratto di Ricollocazione per le donne con figli minori

Contratto di Ricollocazione per le donne con figli minori

Come previsto nel Programma Operativo del Fondo Sociale europeo 2014-2020, la Regione Lazio ha avviato il Contratto di Ricollocazione per le donne con figli minori con l’obiettivo di migliorare l’occupazione femminile, e ridurre la disparità in termini di presenza attiva sul mercato del lavoro.

Le donne destinatarie del contratto di ricollocazione devono avere i seguenti requisiti:

  • donne disoccupate o in cerca di occupazione;
  • con almeno un figlio di età inferiore a 6 anni;
  • residenti nella Regione Lazio.

Le candidature vanno presentate dal 1 settembre al 15 dicembre 2016, e la durata del contratto di ricollocazione è di 6 mesi a decorrere dalla stipula. Possono anche partecipare le donne con cittadinanza non comunitaria, in possesso di regolare permesso di soggiorno e dei requisiti sopra descritti.

L’Ente accreditato si impegna per costruire i percorsi personalizzati di politica attiva, volti a favorire l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro, ed in particolare erogare :

  • servizio di orientamento specialistico: al termine del quale si individua il percorso di politica attiva volto a raggiungere l’obiettivo di inserimento o reinserimento nel mondo del lavoro;
  • servizio di accompagnamento intensivo: della durata compresa tra 36 e 76 ore per il percorso di lavoro autonomo, e tra 36 e 93 per il percorso di lavoro subordinato, in funzione della minore o maggiore distanza dal mondo del lavoro della destinataria e delle vacancies occupazionali.

E’ prevista, inoltre, l’erogazione di un bonus di conciliazione per l’acquisto di servizi per l’infanzia, asilo nido, babysitting, ludoteca, ed altri servizi, per un importo mensile massimo di 200 euro.
L’erogazione di tale bonus è subordinata alla sottoscrizione del contratto di ricollocazione e all’adempimento degli obblighi derivanti dal Contratto sottoscritto.

Dal Festival del Lavoro arriva la “Guida alle dimissioni online”

Dal Festival del Lavoro arriva la “Guida alle dimissioni online”

Anche quest’anno al Festival del Lavoro sono state presentate le otto guide della Fondazione Studi che riepilogano le novità più rilevanti, mettendole a disposizione di tutti gli operatori del mercato del lavoro soprattutto ai cittadini-lavoratori e ai Consulenti del Lavoro.

Su tutte la guida dal titolo “Dimissioni, cosa fare per procedere” nella quale si analizzano, il parere del Consiglio nazionale di Consulenti del lavoro, le nuove regole per dimettersi. Viene spiegato che le dimissioni volontarie dei lavoratori e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro devono essere effettuate in modalità esclusivamente telematiche, tramite un’apposita procedura on line.

Il Jobs Act, con il Decreto Legislativo n. 151/15 art. 26, ha inteso contrastare la pratica illecita delle “dimissioni in bianco” con una procedura che non può essere derogata da altre modalità di comunicazione, salvo alcuni specifici casi.

Dal 12 marzo 2016, per i lavoratori dipendenti titolari di qualunque forma di rapporto di lavoro, esistono due modi per comunicare le proprie dimissioni: personalmente o rivolgendosi ai soggetti abilitati.

La guida, riassuntiva e di semplice consultazione delle regole, è rivolata a coloro che sono interessati a sapere come procedere nella presentazione delle dimissioni
Da quest’anno si richiede il reperimento di alcuni dati aziendali in via preventiva, ed una richiesta di PIN all’Inps, se la volontà verrà espressa in modo autonomo tramite il canale dedicato ai cittadini.

Apprendistato fuori età. Il Ministero precisa alcuni aspetti

Apprendistato fuori età. Il Ministero precisa alcuni aspetti

A seguito di una richiesta di chiarimento riguardo all’apprendistato fuori dai limiti di età, il Ministero del Lavoro precisa che il voucher di ricollocazione non legittima l’apprendistato fuori età. Infatti la possibilità di assumere lavoratori beneficiari di mobilità o disoccupazione, senza limiti di età, non è estesa in via analogica anche ai lavoratori beneficiari del c.d. “assegno individuale di ricollocazione”, introdotto dalla riforma Jobs Act.

Il chiarimento è arrivato come risposta del quesito dell’Associazione Nazionale delle Agenzie per il Lavoro che svolgono attività d’intermediazione.
La richiesta era una corretta interpretazione dell’art. 47, comma 4, del dlgs n. 81/2015, nel quale la norma riconosce la possibilità di assumere con apprendistato professionalizzante e senza limiti d’età, i lavoratori beneficiari dell’indennità di mobilità o di un trattamento di disoccupazione. Ad essi si applicano, inoltre, le disposizioni in materia di licenziamenti individuali, nonché, per i lavoratori beneficiari di indennità di mobilità, il regime contributivo agevolato e l’incentivo della stessa legge.

Rete Lavoro, in particolare, ha chiesto di sapere se, in forza della predetta norma, sia possibile contemplare nell’ambito delle categoria dei lavoratori fruitori di trattamento di disoccupazione anche i soggetti disoccupati che percepiscono l’indennità oraria per la frequenza di azioni di politica attiva del lavoro o comunque i soggetti beneficiari di un contratto di ricollocazione.

Il Ministero cataloga come “disoccupati” il gruppo dei lavoratori che, in seguito alla riforma Jobs Act sono:

  • Naspi: lavoratori dipendenti;
  • Dis-Coll: collaboratori;
  • Asdi: lavoratori che abbiano fruito della Naspi per l’intera sua durata;
  • c.d. «assegno individuale di ricollocazione»: introdotto come strumento di politica attiva.